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Scuola e handicap

Clorinda Scutari


Nel caos degli operatori ricompare il capro espiatorio.


Sono molti anni che in tutte le scuole pubbliche e private sono inseriti bambini portatori di handicap, termine generico con cui viene indicata la presenza di uno svantaggio fisico o psichico.
L'inserimento del bambino handicappato nella scuola dell'obbligo prima, ed attualmente anche negli istituti superiori, ha comportato la costituzione di équipes neuropsichiatriche, prima di competenza comunale, successiva mente affidate alle USL; a queste équipes il corpo docente si rapporta per diagnosi e sostegno.
Nella mia decennale esperienza prima come psichiatra nella scuola, successivamente come responsabile di un programma di inserimento sociale e lavorativo dei soggetti portatori di handicaps, ho potuto constatare come la diagnosi sia stata spesso utilizzata come punto di arrivo, e non come punto di partenza su cui costruire una nuova relazione tesa all'integrazione dell'allievo disabile. Vediamo in concreto cosa succede.
L'operatore può usare la diagnosi per definire malato il bambino segnalato, scaricando su di lui, o su terzi che dovrebbero curarlo, tutta la responsabilità di quello che succede nella relazione; viceversa può definire normale l'allievo e scaricare tutto il peso sull'insegnate, in questo caso il messaggio implicito è: lui è normale sei tu che non funzioni.
La diagnosi viene in tal caso usata come arma per trovare di volta in volta un capro espiatorio, e non come punto di partenza per individuare nuove strategie relazionali.
Spesso ci siamo sentiti dire che il neuropsichiatra viene, fa la diagnosi e se ne va, lasciando sull'insegnante tutto il peso, questa critica trova fondamento nell'atteggiamento descritto. In questi casi la consegna della diagnosi diventa per l'operatore un atto finito, che non ha risolto il problema, ma ha solo aumentato la distanza tra l'insegnate e l'allievo.
Spesso l'insegnante, nell'ottica della delega, sollecita un intervento terapeutico per l'allievo all'interno della scuola, ed alcuni operatori si sono anche prestati a tali richieste di terapia, noi riteniamo che la scuola non è assolutamente luogo di terapia, per la quale ci sono altre strutture, consultori, centri di psicologia infantile, psicoterapeuti privati.
A complicare le cose, negli ultimi tempi, è stato il moltiplicarsi degli operatori che intervengono nella scuola; il Provveditorato ha istituito in alcune città équipes psicopedagogiche composte da insegnanti con laurea in medicina, psicologia, sociologia, questi dovrebbero avere una funzione di programmazione pedagogica per allievi disabili, frequentemente questi operatori utilizzano la loro appartenenza a queste équipes per fare dei veri e propri tirocini, sottoponendo gli allievi ad inutili, in quanto ripetitivi, tests mentali, e talvolta si improvvisano terapeuti.
Ancora gli operatori dei centri di igiene mentale, che dopo I'istituzione della legge 180 sono stati mandati sul territorio, stanchi del loro lavoro con pazienti cronici, si sono lanciati nella scuola in cerca di nuove gratificazioni professionali; naturalmente ogni operatore porta all'interno della scuola la propria formazione e sappiamo come nel campo dello psichico ci siano molteplici orientamenti.

Il momento della segnalazione.
Nel momento in cui un allievo viene segnalato dobbiamo intervenire evitando di collocare qualcuno nella casella dei buoni e qualcun'altro in quella dei cattivi.
Pietro(*) ha 8 anni, frequenta la 2a elementare, viene segnalato perché non apprende, a volte si addormenta in classe, è aggressivo con i compagni. In classe Pietro occupa un banchetto isolato sotto la cattedra, direttamente a contatto con l'insegnante; alla nostra osservazione si rivela disponibile ed esegue i tests mostrando un Quoziente Intellettivo adeguato all'età.
Attraverso il suo comportamento Pietro ha richiesto ed ottenuto un trattamento speciale, in cui ciò che stimola è un ipercontrollo a causa dell'alta indisciplinatezza, ma ciò che realmente ottiene è una maggiore erogazione di cure ed attenzioni.

Gli operatori delle équipes neuropsichiatriche, talvolta complici gli insegnanti, possono trasformare la scuola in un tribunale, in cui l'affidamento di un bambino difficile può essere la pena da scontare. Rifiutiamo questo atteggiamento contribuendo allo sviluppo di una comunicazione sana ed efficace.

Il nostro lavoro consiste nell'aiutare l'insegnante a leggere quanto realmente accade nella relazione, in tal contesto Pietro riceve delle soddisfazioni a cui non ha voglia di rinunciare cambiando; attraverso la lettura del comportamento psicologico possiamo trovare dei nuovi modi di relazionare che soddisfino la fame di carezze di Pietro, e contemporaneamente aiutino l'insegnante a superare la sua difficoltà ad erogare attenzioni particolari senza un "giusto motivo".
Un frequente mito che incontriamo nella scuola è quello per cui ogni insegnante deve essere disponibile ad accogliere ugualmente ogni bambino. Questo mito oltre che falso, è contrario a naturali tendenze umane, e quando viene spinto alle sue estreme conseguenze è di impedimento alla costruzione di relazioni libere, ed efficaci.
Olga(*) è una bambina autistica di 13 anni, è grande e grossa e dimostra più della sua età.
L'insegnante di sostegno ha evidenti difficoltà nella relazione emotiva con questa bambina, indubbiamente difficile, che le sollecita ansie ed angosce. Per motivi, anche di origine culturale, non ha il coraggio di ammettere che non ce la fa, e nasconde il suo disagio dietro una presunta pericolosità della bambina.
Attraverso un lavoro centrato sulla relazione, l'abbiamo guidata a capire i suoi reali limiti generati dalla difficoltà emotiva, ed abbiamo concluso il lavoro affidando la bambina ad un'altra insegnante diversamente attrezzata emotivamente.
E' evidente che un compito importante dell'operatore è anche quello di guidare i docenti nell'assegnazione di bambini più adatti alla propria emotività.
Il ruolo principale dell'équipe, non è quindi di fare da giudice della relazione, stabilendo dall'alto della presunta oggettività della diagnosi, chi sbaglia e chi ha ragione; viceversa proprio partendo dalla diagnosi, ed in seguito ad un attento lavoro di osservazione il compito è di aiutare i due "estranei" a conoscersi e comunicare meglio.
Questo è quello che gli insegnanti, secondo noi, devono chiedere e pretendere dall'operatore, rifiutando ogni personale tentazione alla delega, ma altrettanto rifiutando atteggiamenti critici da parte degli operatori.


(*) nomi convenzionali